martedì 26 aprile 2011

Premio Ambu



Siamo giunti al traguardo per il premio Ambu.

La giuria ha deciso ma io mi prendo ancora del tempo, poco ma ne ho bisogno per capire come gestire alcuni exequo.

Per ora leggetevi le recensioni di tutti i partecipanti e ribadisco il grazie a tutti.
Mi raccomando votate il premio popolare!!! (In alto a destra)

Queste sono le recensioni.

Adriana Roveda


Scrivendo questa recensione vorrei avere il dono di sintesi di certi poeti ermetici, per citare i più noti Montale ed Ungaretti. Pensandoci bene credo di aver trovato senza volere un termine per aggettivizzare questi brevi racconti: ermetici. In ogni storia non c'è un percorso iniziale ma siamo alla fine, al termine, al capolinea. Il lettore è accompagnato nella lettura dallo scandire del tempo (l'immagine dell'orologio è sempre presente come anche l'annotazione delle date nella forma giorno, mese, anno) e da un sottile filo rosso (è il colore della storica linea 1 milanese ma può essere anche il colore del sangue), da immagini e situazioni scioccanti, anche paradossali (The Thing Man), da battute, a volte quasi freddure, e dialoghi "moraleggianti", eppure nonostante la visione sottilmente noir della vita che traspare da queste "storielle" è facilmente intuibile una certa dose di ironia. In definitva questa alchimia sperimentale di Ambu risulta convincente sia per l'originalità della forma espressiva utilizzata, semplici schizzi, sia per aver indotto il lettore, senza fornigli alcuna chiave di interpretazione, ad una forma intuitiva, emozionale, di lettura.



Cristina Rota


In Storie Metropolitane Fabiano Ambu ci offre sei spaccati, in cui possiamo trovare drammi di vita diversi. Non sono storie liriche, ma crude e a tratti strazianti e tutte scandite dal ticchettio di un orologio, che segna l’ineluttabilità del trascorrere di una delle invenzioni umane. Da notare la sottile venatura di humor nero, molto cinico, i giochi di sguardi e i silenzi. Filo conduttore: la metropolitana.

Una storia che colpisce molto è “The Ting Man”, che racchiude al suo interno un vero concentrato di cattiveria e di egoismo tutti umani. Ambu si chiede “Cosa succederebbe se su di un vagone della metropolitana salisse il Cugino It della famiglia Addams? E se su quello stesso vagone ci fosse anche uno scienziato pazzo?”. Il risultato è che lo scienzato vorrà a tutti i costi rendere omologare al resto dell’umanità quello che è considerato un mostro, mentre il povero Cugino It gli stava chiedendo un aiuto di diverso tipo: stava facendo semplicemente l’elemosina.

Un altro reietto e uno dei pochi vincitori delle Storie Metropolitane è il violinista di “Scelte”. Egli ha scelto, appunto, di amare la musica e di suonare il suo violino non per ottenere guadagni economici, ma per il puro piacere di intrattenere. La ricompensa alla quale ambisce è solo che qualcuno apprezzi la sua arte. Il violinista non trasmette tristezza, nemmeno rassegnazione, ma accettazione. La sua scelta è compiuta e lui, che un tempo era ricco e famoso, è ora in miseria, ma è uno dei pochi che vive per davvero, a differenza delle comparse che lo circondano. Anche nel tratto lo si può distinguere: con tutte le sue rughe, con la sua barba incolta è colui che ha il viso più dettagliato. L’altro protagonista ‘vincente’ è il ragazzo di “Amore” che amerà platonicamente e fino alla fine della sua vita una misteriosa ragazza dal volto molto dolce.

C’è poi la ragazza protagonista di “Bugie”, che mente a tutti per nascondere un problema che la affligge, calandosi nei panni di un’eroina tragica, e che vediamo anche in una vignetta di “Errori”, il cui protagonista è un omuncolo causa dei suoi stessi problemi, che decide di vendicarsi dell’uomo che, secondo lui, è colpevole di avergli rovinato la vita. Si trasforma così in una specie di grottesca imitazione di un supereroe, abbigliato come Neo in Matrix. Tornando alla ragazza di “Bugie” si vuole sottolineare che il suo atteggiamento denota la sua debolezza: lei pensa di mentire per proteggere gli altri, invece mente per proteggere se stessa. Ha scelto di non combattere e di fuggire, anche dalla verità.

And last but not least, c’è il protagonista de “Il suicida”, la cui fine è anticipata nel titolo stesso. Un personaggio degno di Svevo per la sua inettitudine (un po’ come l’uomo di “Errori”) che decide alla fine di fuggire da se stesso e da tutti nella maniera più definitiva possibile.

Il tratto del disegno rispecchia le storie: duro e spigoloso. Il tipo di narrazione ricorda moltissimo lo stile di Sin City, che vediamo omaggiato anche nella scelta di mettere in risalto alcuni particolari (o vignette intere) con l’uso del colore rosso. All’interno, a mio parere, troviamo anche qualcosa di Tarantino, per continuare sulla falsa riga dei paragoni tra autori.



Michele Carminati


Mi trovo nell'insolita situazione di parlare del lavoro di colui che per mesi ha controllato e corretto i miei fumetti. Da giudicato a giudicante? Giammai.

Ho avuto il privilegio e il piacere di seguire il corso di fumetti tenuto da Fabiano che amichevolmente chiamo Maestro, e non credo di avere le capacità per poter fare una recensione tecnica sugli stili usati da Fabiano, personalmente ho solo da imparare dai suoi lavori.


In questa breve recensione mi piacerebbe parlare di un elemento che accomuna i fumetti del Maestro, Claudio Re, Racconti Metropolitani e tutti i suoi lavori pubblicati fino ad oggi: la PASSIONE.

E' questo forte sentimento che guida la mano e la mente di Fabiano, un amore incondizionato verso il fumetto (o arte sequenziale) che muove l'artista a scrivere e disegnare delle storie. Fabiano non ha creato Claudio Re o Racconti Metropolitani per fare soldi, per vendere e per diventare famoso, l'ha fatto prima di tutto per se stesso, mosso dall'impulso della creazione, dalla voglia di raccontare delle storie.

Certo, se si riesce a far entrare in tasca qualche soldino non è un peccato (anche gli artisti devono mangiare), ma il guadagno non è lo scopo; Fabiano ha sudato sette camicie per diventare un disegnatore professionista ed è per questo che, anche dopo anni di intenso lavoro, i suoi fumetti trasudano PASSIONE in ogni pagina e in ogni vignetta e credo di conoscerlo abbastanza bene per poter affermare che anche negli anni a venire questo sentimento di amore verso il fumetto (o arte sequenziale) non verrà mai meno.


Fabiano non si ritiene un artista, dice sempre che gli artisti sono coloro che influenzano la società e le persone con le proprie idee; forse ancora non si è accorto che con le sue lezioni ha seminato semi di PASSIONE tra i suoi studenti.



Clyde Cannella


Storie metropolitane è un opera giovanile di Fabiano Ambù. Fabiano è un vero artista; e come un artista osserva la realtà che lo circonda, la rielabora attraverso la sua arte, sicuramente acerba e naif all'epoca, ma efficace perchè trasmette emozioni. Le emozioni e le storie che Fabiano immagina stiano dietro i volti delle persone che incontra in metropolitana, a Milano.

E' un volume di storie tristi e senza speranza; uno specchio della città e della civiltà del nostro tempo. Per Fabiano gli uomini sono marionette senza volto né anima. I volti che disegna in questo albo non sono mai rilassati, ma contratti in smorfie di dolore, il dolore che la vita quotidiana infligge loro e che li segna e che li trasforma in maschere da tragedia greca.

Sono storie di ordinaria disperazione, di quotidiane bugie e meschinità. L'unica redenzione e fuga sta nella morte per suicidio. Il suicidio come estremo atto di ribellione e rivolta contro le carte che la vita ci mette in mano.

Per realizzare le sue storie Fabiano usa due colori; il nero per raccontare, il rosso per sottolineare. Il rosso che indica il sangue che scorre, le lacrime che scendono, gli orologi che indicano il tempo che passa. Il nero , carico per sottolineare le ombre più leggero per sottolineare i volti.

I veri protagonisti delle sei storie contenute nel volume sono il dolore per la malattia che ti porta via tutto mentre la giovane vita sta sbocciando; la solitudine che la rincorsa al successo a tutti i costi porta con se, una solitudine che tutto spazza via lasciando un vuoto che solo la morte può consolare.

Oppure la pazzia che porta con se la perdita del successo dovuto ad un furto di una valigia, pazzia che travolge tutto fino a portare alla morte. O la voglia di trasformare il diverso, il freak in un uomo; fallendo perchè la diversità per Fabiano va accettata e non trasformata.

L'unica storia d'amore contenuta nel libro è per la morte; morte incontrata da giovane e ricercata fino al sopraggiungere della propria ora. Una morte questa volta non crudele ma tenera.

Un volume triste e senza speranza; un volume per ragionare su quello che ci circonda; sui volti che girano attorno a noi, che non sono solo volti, ma persone. L'artista è anche colui che attraverso la sua opera ti porta a riflettere. E Fabiano lo fa.



Giusy Palamara


Sei brevi racconti autoconclusivi che però si possono "incrociare" in alcune scene (Scelte-Time, Errori-Bugie). Raccontano di vita di ogni giorno, di momenti che si possono vivere in prima persona.
Spesso troppo presi dalle proprie faccende ci si dimentica di tutto ciò che ci circonda. Gli altri sono appunto "altri", estranei senza problemi e senza tormenti.
Amiamo ciò che abbiamo solo quando siamo sul punto di perderlo o che ormai abbiamo perso (un amore, un sogno, la vita semplice e le piccole cose che possiamo apprezzare ogni giorno). A volte piccoli problemi li trasformiamo in incubi non accorgendoci che spesso vicino a noi c'è veramente chi un incubo lo sta vivendo. Altre volte invece pretendiamo di decidere cosa sia il meglio per qualcuno senza curarci se tali decisioni vadano bene o feriscano l'altro.
Mi è piaciuto in particolare l'ultimo racconto "Scelte". L'uomo può perdere tutto materialmente ma possedere un'animo e uno spirito che nessuna ricchezza potrebbe comparare e che nessuno può rubare.
Tutto è reso con disegni abbozzati che ben si adattano all'atmosfera triste e malinconica, spesso tragica delle storie.



Alberto Longo


Ho letto con estremo piacere "Claudio Re", trovandolo originale e al contempo in totale sintonia con il personaggio shakesperiano omonimo.

Colori e stili sanno evocare nel lettore in maniera palpabile gli incubi e i (vani) sogni megalomani del protagonista, le sue paure e la sua umana fragilità velata dal desiderio di tenere per sè quella corona.

La narrazione sembra quasi invitare il lettore ad investire i panni dello spettro del defunto sovrano che aspira alla propria vendetta come spettatore passivo, accompagnando Claudio nei suoi diabolici piani sino all'apoteosi del duello.

Lo stile tragico del genio shakesperiano e l'ironia dell'autore sanno creare un mix apprezzabile ed appropriato.

Per chi ama Shakespeare. E per chi cerca qualcosa di diverso.



Andrea Bonzi.


SEI TAPPE METROPOLITANE VERSO IL BARATRO.


Un uomo che si tiene stretta una valigetta, come se da essa dipendesse la sua stessa vita. Una donna “non bella, ma dallo sguardo triste e affascinante”. Un musicista che sbarca il lunario suonando il violino.

Quante volte è capitato di incontrarli, casualmente, su un bus, un treno o una metropolitana? E di immaginare che storia ci fosse dietro quel velo di malinconia o di malcelata paura? Fabiano Ambu ha messo questi suoi “piccoli incubi” su carta, disegnandoli – dice – durante i percorsi in metropolitana. Parola che inizia con la “M” (lettera che campeggia sulla copertina bianca) come “morte” che, in fondo, è la vera protagonista di questi 6 raccontini di una decina di pagine l’uno, dove i personaggi – ognuno con un tormento, un’ossessione, un oscuro segreto – filano dritti come il Titanic verso l’ineluttabile capolinea.

Storielle nere e grottesche, non prive di sarcastica ironia e tratteggiate con uno stile volutamente stilizzato e “un po’ tremante”, lontano anni luce da quello usato da Ambu su Dhampyr e Nemrod, con sfondi appena accennati e frequenti zoom sulle espressioni e sugli sguardi, legati ai pensieri del personaggi con fili sottili.

In “Bugie”, la prima tappa della linea A (come Ambu), veniamo a contatto con una ragazza schiacciata dal terribile segreto che si porta dentro, mentre in “Errori” l’eccessiva impulsività del protagonista gli costerà carissima. Infine in “The Thing Man” lo specchio deformante dell’autore fa luce su tutto quello che avremmo voluto sapere sul peloso cugino It della Famiglia Addams, ma non abbiamo mai osato chiedere. Queste, le tre che mi hanno colpito di più.

Piuttosto che in un unico volume, le “Storie Metropolitane” avrebbero fatto la loro (porca) figura in albetti di 12-24 pagine del tipo “Mille lire”, con carta riciclata più spessa e grezza, ma i costi di (auto)produzione sarebbero stati probabilmente troppo alti. Efficace l’uso della bicromia, ma soprattutto originale risulta la datazione – ora e giorno – della realizzazione di ogni tavola, che diventa una sorta di conto alla rovescia: il tempo sta per scadere, la fermata si avvicina, bisogna prepararsi a scendere dalla metro. E ad affrontare la realtà, smettendola di fantasticare come abbiamo fatto durante tutto il viaggio.



Claudio Zen


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per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.>>


Ri-leggendo “Racconti Metropolitani” di Fabiano Ambu mi sono accorto che non riuscivo a togliermi dalla mente l’incipit del Canto terzo dell’Inferno di Dante. Non solo. La musicalità, la solitudine, il dolore che permeano questi immortali versi le ho ritrovate nei micro-racconti di Ambu.

Se alla prima lettura, “Racconti Metropolitani” mi era piaciuto ma mi aveva lasciato una sensazione particolare quasi d’incompiutezza, rileggendo l’opera ne ho colto, forse solo in parte, l’amara e triste profondità.

Sturiellett” di poche tavole, Racconti Metropolitani fa immergere il lettore nell’underground. Letteralmente poiché tutto si svolge nella metropolitana, e graficamente per il segno usato dall’autore. Un tratto nervoso, sintetico e allo stesso tempo sincretico in cui Ambu con talento rompe la griglia – ove presente – delle tavole e con pochi segni rende debordante, straripante il narrato. Un tratto apparentemente acerbo che invece nella sua essenzialità risulta esaustivo e perfetto per raccontare piccole storie in chiave noir, accompagnato da un lettering che diventa parte integrante e imprescindibile della storia stessa.

Fabiano Ambu si è diplomato all’Accademia di Belle Arti. Racconti Metropolitani lo dimostra. La creazione delle tavole, la scansione temporale degli eventi, i rimandi alti rendono il volume più profondo e più interessante di quanto possa apparire ad una prima occhiata. Con questo volume, se mai ce ne fosse ancora bisogno, Ambu dimostra che il fumetto non è, almeno non solo e di certo non in questo caso, per bambini. E’ un mezzo espressivo degno di rispetto, come gli altri. Alla pari degli altri. E a volte, come in questo caso, con un “quid” in più.

Con una strizzata d’occhio a Miller per l’uso del rosso nel sottolineare alcuni passaggi, un tributo al Risso di “Borderline” e al disegno sudamericano in generale nell’uso dei “neri” e nella centralità della linea, un omaggio a “Taxi Driver” e a “Elephant Man” di Lynch, una citazione del “verismo” sia letterario che pittorico, tanto per voler mettere in fila alcuni degli spunti di cui l’autore dissemina la sua opera rimasticandoli e restituendoli sintetizzati in modo personale, Ambu ci propone uno sguardo, il suo, che non fa sconti all’umanità e all’incomunicabilità della nostra società contemporanea.

Due suicidi, diversi nel “come”, nelle motivazioni e nel percorso che li porta a realizzarsi; una storia di ordinaria follia; un incontro con la Morte; la disperazione di un suonatore che chiede l’elemosina; l’ottusità di chi vuole fare del bene “senza se e senza ma” sono i temi narrati da Ambu. Storie noir, in cui l’autore racconta ma non giudica, in cui si pone come “terzo” tra gli accadimenti presentati e il lettore che ne è testimone riuscendo nella difficile operazione di non arruffianarsi quest’ultimo lasciandogli la possibilità di crearsi una propria opinione. Con un taglio documentaristico, quasi alla Joe Sacco, Fabiano Ambu senza indulgenza presenta storie di ordinaria disperazione, di alienazione metropolitana, ma anche una fiaba nera, scavando oltre le apparenze e mantenendo una coerenza logica e stilistica di alto profilo. Ogni elemento grafico, anche il più piccolo, è protagonista: una presenza che si segnala, un modo articolato per esprimere l’opprimente sensazione di chiuso, di claustrofobia che permea la maggior parte delle tavole. Volti grotteschi, caricaturali che quasi perseguitano il lettore esprimendo l’ansia che permea i disegni perché permea la nostra vita. Immagini uniche che arrivano dall’esperienza dell’autore, dal suo vissuto e per questo colpiscono, per il loro essere vere anche quando sopra le righe come è vera l’umanità dolente che si accalca nei vagoni della metropolitana milanese. Un fumetto realistico nel contenuto e nella forma ottenuto con l’astrazione. Uno storytelling quasi minimalista in cui il disegno colpisce per l’essenzialità: anche nelle immagini “più piene” nulla è “di troppo”. Colpisce l’uso di uno stile così “pulito” per raccontare storie “di pancia”. Quello che appare come una “contradictio in terminis” è in realtà un ossimoro perfettamente bilanciato tra contenuto e forma.

Fabiano Ambu non è un buonista. La società che ci racconta, la nostra, purtroppo si. Rispetto ad essa, l’autore sa essere allo stesso tempo sia Dante che Doré della miseria umana che percorre il sottosuolo milanese, ma la sua ben dosata ironia amara, il sorriso agro che a volte ci produce è il grimaldello con cui stemperare la tensione, la speranza che … ci sia speranza. Speriamo.



Flavio Caminada


Signore e signori, si apre il sipario, si accendono le luci ed ecco a voi… un altro Fabiano.

Chi lo conosce come disegnatore di Nemrod, dell’Insonne o del Dampyr di Bonelli se lo ricorda per il suo stile precisino e quasi maniacale nei particolari. Molto perfettino nelle ambientazioni e nella cura delle ombre, delle luci e delle sfumature, dello studio dei costumi e della caratterizzazione dei volti. In Storie Metropolitane- ma anche in Claudio Re, che a differenza del primo è a colori- il lettore si trova davanti, invece, a un disegnatore di stampo underground con tratti veloci e stilizzati.

Ma qui non parliamo di stile fumettistico: Fabiano è in grado di sperimentare altri generi di fumetti che non siano quelli classici di stile realistico-bonelliano, inquadrati in gabbie. Lui può permettersi anche di provare altri stili, tanto si sa che sa disegnare.

Ma leggendo i suoi due lavori autoprodotti non si può restare indifferenti: o piacciono o se ne rimane male. Delle due, l’una. Bisogna prendere una posizione e questo non è cosa da poco quando si parla di forme d’arte. E in questo Fabiano centra l’obiettivo.

Il pugno nello stomaco lo si riceve, soprattutto, leggendo in particolare Storie Metropolitane, perché in Claudio Re si parla sì di brutture dell’uomo e di violenza, ma soprattutto di potere, per cui il fumetto può essere inteso anche come una critica sociale e politica che potrebbe anche farci dire ‘ma, insomma. Ma che gente che è! A me non mi riguarda. Io non sono come loro’.

Invece ‘Storie Metropolitane’ siamo noi, ognuno nel suo piccolo, non uno qualsiasi, ma noi che leggiamo. E per questo può dare fastidio nell’intimo, perché in qualche momento siamo proprio così. E nessuno si senta escluso. Il volumetto si snoda attorno ad alcuni brevi flash sulle vite di personaggi che si muovono non solo in una città metropolitana (può essere Milano, ma anche un’altra a caso, che non fa differenza), ma soprattutto ‘sulla’ metropolitana. Le tavole sono pensate come impressioni di viaggio, brevi schizzi per fissare su carta delle idee che, come la metropolitana, possono correre veloci e scendere alla prossima fermata. E per questo anche la scelta del tratto è azzeccata.

Tutti quelli che viaggiano in metropolitana fanno viaggi superveloci, spostamenti da una parte all’altra della città -quasi in apnea- per arrivare il prima possibile. Perché non c’è da perdere mai tempo. Chi vuole respirare e godersi il mondo preferisce il tram, magari quello arancione tutto-ferraglia che corre sui binari. Come l’1 che da Castelli porta a Milano Greco. Invece no, la metrò è diversa, è il mezzo, ma anche il luogo, dove il più delle volte si è soli davvero e non si hanno relazioni con nessuno, tanto si scende subito. Quasi nessuno viaggia in metrò con altri, fateci caso.

E caso ce lo ha fatto sicuramente anche Fabiano, che ha visto per la prima volta questa realtà nei primi degli anni Duemila quando ha lasciato la sua Sardegna.

Ed è proprio la solitudine, enfatizzata dalla metrò, che accompagna ogni personaggio del volumetto: ognuno di loro si sente solo anche in mezzo agli altri e prova sentimenti intimi, nascosti, che piano piano lo rodono dal di dentro, come un tarlo mortale. Il protagonista è solo, gli altri in metrò non ci sono mai e non si accorgono mai di nulla. E’ probabile che ognuno di questi personaggi si sia anche potuto sfiorare su un vagone del metrò, ma neanche loro si accorgono di chi gli sta vicino, tanto sono presi da sé stessi.

Sono raccontini che fanno pensare, molto malinconici, che lasciano l’amaro in bocca. Ma la visione di Fabiano com’è? È semplice spettatore di vite massacrate o ne prende posizione? Beh, le disegna e le immagina, per cui non può essere neutrale e indifferente, anzi la sua posizione è netta. Le atmosfere interiori sono cupe e non lasciano una via d’uscita che non sia la fine violenta. Non c’è molta speranza. A fare da collante alle sei storie è un binomio inscindibile: quello della metropolitana che corre e quello dell’orologio che scorre. Mentre uno porta sempre più vicino alla fine di tutto, la prima passa su tutto e nella sua folle corsa è spesso uno strumento per mettere fine a tutto. Più che una spada o una pistola.

C’è grande umanità nei personaggi disegnati da Fabiano, anche in quelli più cattivoni –magari non dalla nascita, ma diventati tali per ‘colpa della società’, come il manager di Errori. Ognuno di loro capisce di aver sbagliato, se ne rende perfettamente conto, vorrebbe mettere tutto a posto. Ma non c’è mai via d’uscita, tutto è fatto, concluso, finito, sembra che l’uomo non possa fare nulla e si va comunque verso il baratro una volta imboccata la strada della disperazione.

Ma ecco che il maestro di musica classica a cui sono stati sottratti gli spartiti trova consolazione dal suo vivere da vagabondo forzato proprio nella musica. Una speranza, quindi, c’è? No, sbagliato. Per Fabiano tutto è inutile, le ultime due vignette si concludono con una metropolitana anonima che passa su tutto, buoni e cattivi, e mette fine alla sua vita.

La ragazzina malata nasconde la sua condizione, in modo poetico cerca di allontanare gli amici, il ragazzo e la famiglia, per non essere rimpianta. Ma poi si uccide in maniera violenta. L’uomo dedito alla carriera- o alla politica- cancella ogni relazione, ma alla fine resta solo e …si getta come il musicista sotto la metropolitana. Ma perché non dare più speranza all’uomo?

Tracce di poesia vera si incontrano qua e là, come in Amore, la storia che più ricorda i racconti di Dino Buzzati, dove la morte arriva sì, ma è dolce. Ma rimane ugualmente l’amaro in bocca di un’attesa che ha roso tutta la vita e che ha accompagnato l’uomo da solo verso la sua ultima destinazione.



Federico Galeotti


Ho acquistato questo fumetto presso lo stand a Mantova Comics 2011,

da buon appassionato Dampyriano non potevo farmi sfuggire una chiacchierata

con Fabiano, a differenza di altri disegnatori che se la tirano come se fossero

placcati in oro, Fabianoè stato molto disponibile e sincero.

Ho letto il suo fumetto auto prodotto "Claudio Re" il giorno seguente,essendo io

stesso attualmente uno studente dell'Accademia di belle arti di Grafica e Arti visive,

sono stato subito colpito dallo stile grafico molto tagliente, i disegni sono caratterizzati

da un marcato autocontrollo dell'autore, notando una buona conoscenza della

trama del romanzo shakespeariano.

Si può notare una buona esperienza dell'autore nella scenografia che lo porta a una

sceneggiatura creata da un punto di vista molto originale.

Lo stile dello storyboard è molto fuori dagli schemi, spesso provocante grazie all'uso

di colori pungenti in contrasto con i grigi morbidi delle figure del fumetto.

La sua creazione del fumetto la trovo molto più artistica che illustrativa, che senza

peli sulla lingua” è ben riuscito a trasmettere il messaggio di una delle tragedie

shakespeariane più conosciute e citate cioè L'Amleto.

Penso proprio che al prossimo comics oltre che farmi una bella chiacchierata

con Ambu mi regalerò “Storie Metropolitane”, dico regalerò perché per me è stato

un piacere leggere e possedere un fumetto cosi originale e orgogliosamente auto prodotto.



Leonardo Monzio Compagnoni


Il volume autoprodotto "Racconti Metropolitani", a firma di Fabiano Ambu, è atipico, nel senso che di prodotti simili sul mercato italiano non se ne trovano. Non tanto per le storie ivi narrate, quanto per quello che è, ovvero un esperimento ben riuscito. Con questo volume, l'autore pare voler svelare al proprio pubblico come nasce il suo lavoro, non a caso altro non è che la raccolta di "appunti grafici" presi durante il lungo e quotidiano peregrinare in metropolitana. Tra l'altro il formato tascabile è quasi un omaggio al quaderno degli appunti. Proprio perchè "appunti", o per meglio dire storyboard sketchati, presentano disegni non curati, semplici bozze ma che raccontano come deve muoversi un vero professionista del settore, ovvero osservare e raccogliere quante più informazioni possibili nel minor tempo possibile. Ad un occhio allenato, la stampa può sembrare in parte sgranata ma ciò non inficia la resa del prodotto in se, anzi le storie, umane e senza riferimenti all'assurdo, trascinano il lettore fino alla loro, tristemente reale, conclusione, collegandosi tra esse di tanto in tanto, creando persino una continuity. Proprio per queste sue caratteristiche, poco commerciali per la massa, "Racconti Metropolitani" risulta essere un prodotto di nicchia, ma ben fatto, con un inizio, un intreccio ed una fine. Uno strumento aggiunto a coloro che affermano di amare il fumetto in quanto media e a coloro che vorrebbero intraprendere la professione di fumettista.



Marco Cabras


Storie metropolitane è un' ottimo esempio di come la creatività e la fantasia possa essere messa nero su bianco, in questo caso con qualche tonalità di rosso. Un autore di fumetti che abbia capito il meccanismo, e Fabiano è un' ottimo esempio, ha una sensibilità e un modo di vedere le cose molto diverso dal modo superficiale e veloce che il tenore di vita attuale ci impone. Insomma si è abituati (o ci si allena) a guardare le cose, non vederle. In un certo senso ci si fà "attraversare" dalle cose, spesso viene detto, " l' autore è come una spugna " e se viene strizzata viene fuori la schiuma, la sua interpretazione.

Quale luogo migliore se non la stazione della metropolitana di Milano può offrirci una così vasta scala di tipologie, sfaccettature dell' attuale, ho ammirato tantissimo il modo in cui Fabiano ha messo in atto questo procedimento di osservazione e interpretazione, e di come l' attesa snervante di un mezzo di trasporto pubblico può diventare un' ottima occasione per ingannare il tempo e mettersi alla prova (anche graficamente) ideando storie di getto, senza la possibilità di correggersi, dotati di sola penna e foglio bianco. In "the thing man" nella prima vignetta si vede lo stesso Fabiano bello spaparanzato sulla metro che pensa "Ora racconto un' altra storia", quasi come affermare lo spirito impellente che brucia nel creativo di raccontare qualcosa.

Da autore di fumetti esordiente capita spesso anche a me di girare armato di carta e penna e abitando in grandi città, posso confermare che le stazioni e le fermate dei mezzi pubblici sono un brulicare di idee e spunti, basta una scena un pò particolare, un discorso sentito per caso o semplicemente lo sguardo di una persona per aprire le porte ad una nuova storia. Con Storie metropolitane le situazioni che si raccontano sono talmente attuali e reali che ci si affeziona subito ai personaggi o ci si rispecchia in qualcuno di loro, una raccolta di sei storie brevi raccontate benissimo, che in pochi segni possono far capire a tutti quanto sia grandioso ciò che può fare una penna in mano alla persona giusta.



Melissa Camerani


Subito è stato il rosso. Perché c'è sempre qualcosa che colpisce al primo sguardo. Linee rosse, sottili, che evidenziano, sottolineano, uniscono, dividono, attraversano e si intrecciano in un tratto imperfetto, stilizzato, essenziale che sorprende riuscendo a creare atmosfere intense, commoventi, strazianti. Così mi scopro incantata a guardare il disegno della madre con in mano la scopa e lo straccio nella prima storia, o il bambino che guarda il padre leggere nella seconda e ancora la morte che si allontana col suo innamorato in “Amore”. In realtà ogni disegno è tremendamente espressivo, la costruzione di ogni pagina lo è, anche se a volte può sembrare sgangherata.

Nelle storie, così come nelle persone, mi esaltano le imperfezioni, i difetti ma soprattutto il modo in cui vengono gestiti. Trovo che sia questo che rende speciale qualcosa o qualcuno.

In questa serie di piccole perle che si sgranano una dietro l'altra di difetti, forse, ce ne sono tanti, ma le storie sono vive, calde e si sente il pulsare di un cuore appassionato. Questa passione si percepisce fortissima, ogni personaggio è persona, così ti tocca soffrire con lui e lo capisci, lo scusi, ti ci arrabbi, sì ti ci arrabbi perché dal tuo essere spettatore vedi le incomprensioni, i fraintendimenti, l'essere compresi solo nella propria parte senza considerare le ragioni altrui... ognuno nel suo piccolo mondo che ogni tanto viene a contatto con quello di qualcun altro e la maggior parte delle volte non lo capisce, non gli dà peso o solo non ha interesse vederlo. E' lo specchio in cui si riflette la nostra società, è quello che trovi se gratti un po' la superficie e ti inoltri nell'intimo, è paurosamente reale. Speri, ma sai che è invano.

Il destino è quel che è, non c'è scampo più per me”. D'accordo il contesto originale era umoristico, ma questa frase continua a frullarmi per la testa. In queste storie non c'è scampo, non c'è lieto fine, non c'è spazio per la redenzione. Perché in definitiva è così, alla fine la morte arriva e a volte è molto più dignitoso scegliersela che aspettarla passivamente.


E allora è tutto inutile? Io sono un'inguaribile ottimista per cui, nel frattempo, in attesa di tempi peggiori, chiudo il libro e indosso un sorriso consapevole.



Rosa puglisi


Prima di tutto per onestà mi presento, sono Rosa la ragazza di Fabiano, e questa dichiarazione remerà contro di me, scrivo più per il gusto di insultarlo che per il premio. J

Sarà difficile essere oggettiva con il capitano.

Lo chiamerò così, per distaccarmi dal suo ruolo quotidiano.

Parliamo di Claudio RE.

Il capitano ha la tragedia nel sangue.

La vedi nel suo segno segmentato e nervoso, la vedi nel suo colore desaturato e sporco, sofferto, e soprattutto per le storie che sceglie di raccontare ( chi lo conosce, sa che lui ci sguazza nel dramma).

Il tema è sempre quello, il dramma interiore dell’uomo, per quello che nella vita bisogna conquistare con fatica, per la rabbia contro le ingiustizie, per il volersi ribellare ad un destino difficile. Lottare, lottare, lottare sempre.

Il capitano, nella sua durezza è un’anima pura.

Un idealista, o fondamentalista delle sue idee, un’uomo che non si nasconde, e questo si vede anche attraverso il suo lavoro, il suo segno.

Lui non vuole farsi dire bravo.

Lui vuole comunicare, provocare, e pur di affermare se stesso, è disposto a scardinare i codici visivi del disegno, reintepretandoli per creare un discorso chiuso, dramma nella storia, dramma nel segno.

Chi se ne frega della prospettiva, delle proporzioni, del chiaroscuro perfetto, quando si sta urlando il dolore pazzo, il dolore della mente…

Il capitano condivide l’anima, racconta se stesso, i suoi valori, quello in cui crede attraverso il personaggio di amleto.

Il capitano si ribella e non ha paura di difendere le due idee.

Il capitano è il capitano.

E Claudio re, è la peggior razza dell’uomo con cui ci scontriamo quotidianamente.



Micaela Piccinini


Credo che sia importante premettere che non sono una lettrice di fumetti. So che questo non gioca a mio favore, ma, mea culpa, il dato di fatto è questo.

Quindi la valutazione che farò sarà il risultato di una serie di considerazioni a partire dal mio gusto personale e dalla mia esperienza professionale, mi occupo di teatro.

Inizio con definire quali sono gli aspetti che ho tenuto in considerazione premettendo che non conoscendo le definizioni tecniche, ho usato mie definizioni personali:

l’equilibrio dei disegni all’interno delle tavole, la scelta e l’utilizzo dei colori, la scrittura scelta, la leggibilità, il testo drammaturgico.

C’è da premettere ancora che non si può analizzare allo stesso modo il fumetto “Le storie metropolitane” e il fumetto “Claudio Re” perché nonostante siano stati eseguiti con la stessa tecnica en plain air hanno genesi differente.


Le storie metropolitane


Nonostante la veloce esecuzione, brevi racconti scritti durante i viaggi in Metropolitana,le tavole, sebbene tremolanti, sono molto belle, ben curate e ricche di particolari. Le copertine mi hanno colpito particolarmente per la loro essenzialità.

Le storie sono semplici,sì, ma non sempre ben sviluppate drammaturgicamente.

Trovo che il carattere della scrittura, sebbene mi piaccia molto e sia in linea con il tratto della matita, non è sempre ben leggibile.

A parte alcune tavole un po’ più confuse, credo che il lavoro sia ben equilibrato nella scelta delle geometria e dell’utilizzo dello spazio della pagina bianca.

Mi piace molto la scelta della penna rossa che sottolinea i particolari, che si fa interprete dei pensieri e che letteralmente diventa il filo rosso della storia, si potrebbe quasi capire la storia seguendo il tratto rosso senza leggerla. È come la penna rossa della maestra che corregge e sottolinea.

Metro – underground – subway per associazione a partire dalla traduzione: sotto, buio, lato oscuro…io leggo drammi senza nessuna possibilità di speranza, nessuna uscita. L’uomo è interprete del suo lato oscuro. Reietti, assassini, pazzi, malati ed infine la morte in persona a concludere la raccolta di racconti.

L’autore è presente, sempre, ci dice quando e a che ora ha disegnato la tavola, a volte diventa personaggio e si disegna, trovo che questo autocitarsi non è necessario.

Mi piacciono le citazioni letterarie e cinematografiche perché aprono finestre su immaginari altri e arricchiscono la storia.

Entro più in specifico per dare altri elementi su ogni racconto.

Metro-suicida

Interessante il parallelismo tra presente e passato e come è stato rappresentato.

Bella la copertina e le tavole.

Nella drammaturgia si aprono parentesi sul passato del protagonista che non concorrono abbastanza a determinare il dramma del personaggio, sono superflue perché non abbastanza sviluppate.

Non avrei messo la citazione dell’Amleto.

Metro-the thing man

Come già detto nella prima tavola vediamo l’autore che pensa, lo trovo non necessario.

Molto bella e drammatica l’ultima tavola, allo stesso modo le zoommate.

La storia è la più inconsueta, è l’unica che non attinge direttamente alla realtà, ma che ne mostra, forse più che le altre, la mostruosità dell’essere umano.

Metro-errori

Incasinata nelle prime tavole come la fretta del protagonista della storia. Molto più curate le tavole successive. Belli i particolari in rosso. Drammaturgicamente la più completa. Il finale è atteso e riequilibratore.

Metro-bugie

Secondo me è il racconto più bello. È credibile, si entra subito nella storia, si tocca subito l’inquietudine della protagonista, nonostante il dramma si sveli solo alla fine.

La drammaturgia è sviluppata bene.

Essenziale e drammatica la copertina.

Belli i particolari degli occhi che restituiscono i cambi emotivi.

Doppia sorpresa nel doppio finale.

Metro-scelte

Questo racconto è stato disegnato con quasi un anno di distanza dagli altri. Si legge una forte necessità di dire. Una forte rabbia. Come se il protagonista parlasse per voce dell’autore.

È il più complesso sia drammaturgicamente sia graficamente. Drammaturgicamente, però lo trovo incongruente: oscilla tra l’accettazione e la presa di coscienza della realtà e la necessità di ritrovare fasti, ricchezze e il pensiero di giorni migliori. Parla di dignità di piccoli gesti a distinguere il valore dell’uomo e del divertimento delle feste….forse il suo dramma è questo non accettare la realtà e raccontarsi che gli basta la musica a dar valore alla sua vita? Non so, non è chiaro, come non è chiaro il finale. Il suicidio è la proiezione del suo pensiero? O è reale?

Metro-amore

Trovo interessante la trovata di dare forma in carne ed ossa alla morte e rappresentarla come una donna dolce e affascinante.

È buffo decidere di far innamorare un personaggio della morte. Drammaturgicamente lo trovo un pretesto. Bello il finale.

Con metro-amore e quindi con la morte si conclude la serie di racconti.

Come a dire che oltre la morte non c’è più dramma.


Claudio Re


Nonostante nasca in velocità sul traliccio di un’americana, la storia dell’Amleto, come dice l’autore, è fonte di analisi e di ispirazione da tempo e questo è ben visibile.

È chiaro anche che conoscendo bene la storia disegnarla ed aderire ad essa è stato meno complesso. La difficoltà è stata quella di indagare il punto di vista di un solo personaggio, re Claudio, e di restituirla emozionalmente.

Essendo la drammaturgia più definita e complessa ha dato la possibilità all’autore di avere più spunti di indagine e riflessione.

Le tavole sono molto belle, ben equilibrate e curate nei particolari.

Da due si passa a tre colori (quattro su una tavola del II atto) a dimostrazione di una maggiore necessità di dar voce alle tavole e al protagonista.

L’inquietudine di Re Claudio si percepisce sin dall’inizio e si dipana tra le varie situazioni e ambientazioni senza lasciare mai il lettore.

Si legge tra le righe la rabbia che muove l’autore e l’urgenza di usare il suo mezzo espressivo per condannare l’umana malvagità che prende forma nel contemporaneo assumendo le vesti del datore di lavoro, del collega, del premier…

Re Claudio, personaggio immaginario e lontano diventa l’incarnazione della malvagità.

Per concludere mi vorrei soffermare sull’ultima tavola:la confessione e la presa di coscienza di re Claudio lo pacifica con il mondo che sta lasciando e lascia la possibilità al lettore di allontanarsi dalla colpa e avvicinarsi all’umano, lo giustifica e lo perdona.

Trovo il finale troppo buonista.



GIANLUIGI CAPUANI


Le atroci punture di Fabiano Ambu.


Due albetti bianchi, dalla copertina scarna, ma realizzata con gusto e semplicità. Ottima carta, lucida e pesante, che da un’autoproduzione non te l’aspetti mica. E poi li apri prima di tuffarti nella lettura e resti sbalordito. Ma che è ‘sta roba? Perché da Fabiano Ambu, quello che ha disegnato un capolavoro di storia di Dampyr, meticoloso, quasi paranoico per la sua precisione e maestria ti aspetti qualcosa di formalmente perfetto, che rappresenti in pieno il talentuoso artista che è.

Invece i disegni dei due albi sono stilizzati, contorti, esasperati e sfuggenti da quei canoni estetici cui siamo abituati e ai quali Fabiano Ambu si è adeguato nelle pagine de L’Insonne, Nemrod, Il massacro del Circeo e appunto Dampyr.

Prendo il primo volume, Claudio Re, e inizio a leggere. La storia è una rilettura con linguaggio moderno della classica tragedia shakspiriana amletica, un viaggio allucinante nella paranoia di un uomo che ha usurpato il trono al legittimo re suo fratello e ora teme che suo nipote possa assassinarlo. Tra subdole macchinazioni e paure inesistenti si compie il destino di Claudio, piccolo uomo codardo e cattivo, schiavo della sua avidità ma anche della sua cordardia. Ambu tratteggia ogni personaggio in base al suo carattere, delineando figure grottesche dagli occhi sgranati e vuoti (la compagna di Claudio, già moglie del legittimo re ucciso), dalle gambine corte e lo sguardo inquieto (Claudio, il protagonista), fino alla vera e propria deformità (il viscido consigliere).

Attraverso un tratto schematico e spigoloso, una costruzione della tavola inusuale, unicamente funzionale alla storia, e l’uso di colori cupi e avvolgenti, Ambu ci getta in pasto alla mente malata di un uomo che potrebbe rappresentare un corrotto uomo di potere di oggi, disposto a tutto pur di conservare il suo ruolo.

Dopo aver digerito l’epilogo tragico ma giusto di Claudio Re, è il momento di affrontare il più corposo “Storie metropolitane”, 6 racconti realizzati durante i viaggi in metro dell’autore, prendendo spunto da persone e fatti cui lui stesso ha assistito.

Due penne, una rossa e una nera, tracciano linee essenziali quanto efficaci, che sanno andare al cuore delle brevi storie narrati, rinunciando a qualsiasi velleità di beltà estetica per affrontare attraverso lo sguardo disincantato di Ambu tristi epiloghi e dolci addii. Le storie di Ambu sono favole postmoderne specchio della solitudine metropolitana, con personaggi che non riescono a cancellare un passato ingombrante, non sanno vivere nel presente e relazionarsi in mezzo ad un mondo perlomeno indifferente, quando non propriamente cattivo.

E si respira arte vera nelle storie sotterranee di Fabiano Ambu, quella che ti sa emozionare, che ti scuote dentro e non ti lascia mai indifferente. Perché un autore che sa disegnare davvero riesce a comunicare anche con poche linee, riuscendo a trovare la via migliore per rappresentare la realtà come la vede lui. Come non innamorarsi di quegli sgorbi così sfortunati ma maledettamente simili a noi? Il tratto tirato, esile ma aderente alle sceneggiature colpisce, come se Ambu stesso ci pungesse con quelle penne per mostrarci una realtà fatta di piccoli gesti, persone in difficoltà che vengono ignorate, situazioni che noi stessi possiamo aver vissuto. Ci mostra noi stessi attraverso i suoi occhi, che poi si rivelano inesorabilmente i nostri, compiendo un esercizio efficace e mai banale di introspezione e analisi della realtà.

Storie metropolitane mi ha turbato, ma semmai Fabiano Ambu deciderà di pubblicare altri racconti del genere non mancherò all’appuntamento con queste atroci punture di penna al cuore.


Prestissimo scoprirete i vincitori e le opinioni della giuria, che ringrazio ancora per essersi prestati a questo Amb-ito premio.

A destra trovate il premio popolare, se il vincitore è differente da quello selezionato dalla giuria riceverà un premio a sorpresa.

Votate e votatevi il premio più italiano che esista!!!


E grazie a tutti coloro che hanno partecipato.